lunedì 8 febbraio 2010

kathèuda - le quattro figure dormienti






Kathèuda è una performance d'arte contemporanea, rivolta al pubblico dei passanti, che avrà luogo mercoledì 26 maggio 2010 a Milano, dalle ore 17.00 alle 19.00 in Piazza Castello, Corso Vittorio Emanuele II, Piazza Fontana e Piazza Sant'Eustorgio.
Si tratta di quattro figure femminili dormienti (sdraiate, immobili), ognuna delle quali sarà presente in uno dei quattro punti menzionati della città. Le figure rappresentano quattro momenti significativi nella vita della donna: menarca, matrimonio, gravidanza e lutto.

L’evoluzione individuale di ogni essere umano è strettamente legata alla preparazione e al superamento di tappe imposte dalla società cui egli appartiene. Ogni percorso si divide in mete: raggiungerle e porsene altre è parte integrante della vita di ognuno di noi, che questo avvenga più o meno consciamente. E questo è un fenomeno trasversale per tutte le culture, siano esse tradizionali, quindi ancora fortemente legate al sacro, o moderne, occidentali, tecnologiche.
Tutto questo presuppone che prima di raggiungere un obiettivo e dopo averlo raggiunto ci si senta due persone diverse. Cambia il nostro status sociale e la percezione che abbiamo di noi stessi, ma anche quella degli altri nei nostri confronti. Da un istante all’altro ci troviamo cambiati, rivestiamo un nuovo ruolo e si presentano nuove responsabilità, nuove aspettative.
Nel progetto Kathèuda (quattro scatti fotografici e performance) vorremmo porre l’attenzione su cosa sancisce il passaggio da uno stadio esistenziale a un altro, ovvero i riti di passaggio come fenomeno universale e necessario per tutte le culture del mondo.
Abbiamo scelto di rappresentare figure femminili per ovvia sintonia e perché la donna si trova ad affrontare fenomeni affascinanti nel corso della propria vita, primo fra tutti la gravidanza.
Il rito di passaggio, che si tratti della cerimonia di nozze tra i Khond dell'India meridionale o di una laurea occidentale, presuppongono un graduale investimento di energie per raggiungere lo scopo, che culmina, al termine dell’iter, in una cerimonia, un riconoscimento pubblico che garantisce il passaggio di stato. Andando a indagare microscopicamente i rituali, che siano essi rigidamente strutturati o che lo siano approssimativamente, vorremmo poterci concentrare sul suo momento culminante, potendo individuare un ipotetico istante in cui il soggetto della cerimonia transita da uno stadio a un altro come sospeso tra una zona e l’altra, senza essere nulla. In quella specifica frazione temporale vorremmo poter immaginare la figura femminile interpretare quel “nulla” attraverso l’allontanamento da se stessa che solo il sonno e la morte possono permettere. In un momento culminante, in cui l’essere se stesse è al centro dell’attenzione di tutti, le figure dormienti si estraniano, rendendo eterno quell’istante in cui il “non essere” è una condizione imprevista, come sottraendosi all’indispensabile socialità richiesta ad ogni individuo. Questo apre una riflessione sull’essenza del nostro essere, sul nostro essere a prescindere dalla società cui apparteniamo, quindi potremmo definirlo una sorta di “non essere”, perché estraniarsi dalle proprie radici culturali e sociali vorrebbe dire cancellare la nostra identità, raggiungendo una profondità interiore nascosta e primordiale.

Le figure scelte rappresentano quattro passaggi importanti nella vita della donna: primo ciclo mestruale (menarca), matrimonio, parto, lutto. Ognuna di queste figure è riconducibile alle stagioni, così come è possibile “riconnettere le cerimonie dei passaggi cosmici alle cerimonie di passaggio umane” (Arnold Van Gennep, I riti di passaggio. 1981, Bollati Boringhieri, Torino, pag. 6). Ognuna della figure è strettamente legata all’ambientazione architettonica in cui è inserita, scegliendo come città Milano. Il colore dell’abito che indossano ha un preciso significato. Il menarca, in abito rosso, in piazza Castello, la rinascita della natura e la maturità sessuale; fa da sfondo il Castello Sforzesco che richiama una dimensione fiabesca, legata ancora all’infanzia. Matrimonio, in abito bianco, la donna che raggiunge la piena maturità emotiva e sessuale, nella Galleria Vittorio Emanuele II, al centro dell’intersezione delle due braccia della struttura, come l’incontro della donna con l’amore, un luogo coperto e protetto dalle intemperie, così come l’unione coniugale è fonte di protezione e sostegno.
La gravidanza, abito verde, in Piazza Fontana, l’acqua come fonte di vita. La figura che si confronta con il lutto, abito nero, la natura si addormenta. Il luogo scelto è piazza Sant’Eustorgio con di sfondo la Basilica intitolata al santo, luogo sacro, di raccoglimento e riflessione, abbandono e conforto nella fede, chiusura del ciclo esistenziale.

Nessun commento:

Posta un commento